INCONTRO CON SERGE LATOUCHE
Queste righe prendono spunto dal dialogo sulla decrescita con Serge Latouche tenutosi il 28 gennaio 2013 a Colle Val D’Elsa.
Serge Latouche nasce a Vennes, nella regione francese della Bretagna il dodici gennaio del 1940. E’ economista e filosofo, conosciuto per i suoi studi d’antropologia economica ed è uno dei molti avversari dell’occidentalizzazione del pianeta Terra. Il suo pensiero è critico riguardo all’odierno concetto di sviluppo.
Uno dei temi da lui affrontato è quello della “decrescita conviviale”.
Il termine decrescita è uno slogan, spiega l’economista. Una sorta di grido di battaglia provocatorio. Non sta a significare il contrario di crescita, ma vuole essere un pensiero alternativo alla concezione postindustriale turbo-capitalistica di “sviluppo”.
Le più grandi lobby di inquinatori, sfruttatori e devastatori della biosfera si uniscono in associazioni intercontinentali per alimentare le loro attività incentrate sulla crescita e chiamano queste attività con parole grigioverdi come “sviluppo sostenibile” o “green economy”. Sono le stesse persone responsabili dell’eternit che avvelena operai.
Per riportare alla memoria quel fatto aggiungiamo che il 13 febbraio 2012 il tribunale di Torino emette una sentenza che passerà alla storia in Italia e che svela le modalità con le quali opera la grande industria. Migliaia di morti ammazzati da imprenditori inumani che mirano solo a rafforzare i propri imperi. Dalla sentenza Eternit del febbraio 2012, ci troviamo al giugno successivo, Rio +20, il forum istituzionale mondiale per l’ambiente formato dai venti paesi più ricchi del mondo. Stephan Schmidtheiny, a capo del gruppo fra i principali responsabili di migliaia di morti finora accertati, avvelenati dalle sostanze cancerogene contenute nell’eternit, uno dei principali responsabli di un inquinamento di portata ritenuta ancora incalcolabile, oggi anche tra i fondatori di WBCSD (World Business Council for Sustainable Development), riceve in regalo un invito dal WTO, la Word Trade Organization proprio per discutere di ambiente: “sviluppo sostenibile” e “green economy” sono i temi attorno ai quali verte l’incontro.
Ecco, questo è “sviluppo”?
Sarebbe interessante leggere l’articolo dal titolo “Globalizzazione: idee per capire, vivere, opporsi al nuovo modello di profitto” che ho letto su “A rivista anarchica” (nota 1) (http://www.anarca-bolo.ch/a-rivista/index.php?nr=274&pag=../antiglob/a_antiglob.htm).
Cos’è in realtà il movimento della Decrescita? (nota 2)
Latouche continua dicendo che non c’è uno slogan o un parola che possano definire questo. Far crescere la qualità dell’aria, delle acque, della salute, anche questo è sviluppo secondo il movimento della decrescita. Oggi abbiamo aria inquinata, beviamo acqua dalla plastica perché quella del rubinetto è avvelenata, il nostro cibo ci porta obesità, colesterolo e diabete. L’uso eccessivo delle nostre stesse medicine ci ammala.
Gli economisti per far funzionare tutto ciò si sono inventati una forma di crescita illimitata.
L’attuale economia per funzionare si riduce, per noi poveri profani, in un continuo aumento del prodotto lordo dei paesi: il Pil (Prodotto Interno Lordo).
Crescere per crescere, come si fa? E’ impossibile.
In una società fagocitata dall’economia della crescita e della globalizzazione le grandi organizzazioni hanno bisogno di creare sempre nuovi bisogni andando ad operare sul sistema dei desideri. I desideri nell’essere umano sono infiniti e anche per mezzo della cultura e della comunicazione i desideri vengono trasformati in bisogni.
Stiamo provando sulla nostra pelle quanto questo influisca sulle nostre cognizioni, ovvero sul nostro modo di vedere il mondo.
Perché cambiare paradigma e uscire da questa società di crescita?
Perché non è sostenibile e non è neanche auspicabile (nota 3).
Latouche parla di impronta ecologica. Quanto impatto abbiamo sulla terra? L’impronta ecologica è un indicatore utilizzato per valutare il consumo umano di risorse naturali.
Nel 2003 è nato il Global Footprint Network al fine di creare dei parametri per misurare il nostro impatto sulla Terra, l’unico pianeta di cui disponiamo, contabilizzando le risorse in modo da calcolare “quanta natura abbiamo a disposizione, quanta ne utilizziamo, chi la utilizza.
In Italia Alessandro Galli (Chemical Sciences all’Università di Siena) è il direttore del Programma Mediterraneo e applica la metodologia dell’impronta ecologica alla dipendenza umana dalle risorse.
Partiamo dal presupposto che il pianeta abbia una superficie limitata (51 Miliardi di ettari circa); lo spazio utilizzabile sembra sia di 12 Miliardi di ettari, dato che il fondo del mare è adatto solo per gettare rifiuti radioattivi, magari come si è fatto anche nei mari del sud Italia (http://agnesinapozzi.altervista.org/le-denunce-di-gianni-lannes-sui-rifiuti-nucleari-e-industriali-2/).
Sembra, riporta Latouche, che se tutte le persone del mondo vivessero come un cittadino americano, servirebbero quattro pianeti come la Terra per soddisfare le richieste dell’umanità sulla natura.
Oggi gran parte delle risorse mondiali sono sfruttate da una piccola percentuale di paesi super ricchi e divoratori di energia.
Il Rapporto del Gruppo sul Cambiamento Climatico mostra come piccole variazioni di temperatura a livello globale possano sommergere interi paesi, coinvolgendo anche centinaia di milioni di persone. Inoltre i ghiacciai dei poli si stanno sciogliendo molto più velocemente di quanto anche il Gruppo per il Cambiamento Climatico avesse calcolato.
Il sistema di sviluppo industriale ha consentito un cambiamento reale delle condizioni di vita delle persone, ma solo fino agli anni Settanta, quando ancora l’imperialismo occidentale si poteva permettere di sfruttare le antiche colonie a danno delle popolazioni indigene; oggi si vive un benessere virtuale (nota 4).
Dalla fine degli anni Settanta la forbice tra il Pil e il benessere vissuto si divarica, il modo di calcolo del prodotto interno lordo come indicatore di benessere viene criticato e ritenuto inadatto a misurare le reali condizioni di benessere.
Fra i diversi metodi proposti in alternativa al Pil è il GPI (Genuine Progress Indicator), un Indicatore di Progresso Reale che ha come obiettivo la misurazione dell’aumento della qualità di vita.
Altro metodo di misurazione alternativa al Pil è il FIL (Felicità Nazionale Lorda).
Ci sono anche altri metodi che prendono in considerazione vari parametri che il Pil ignora completamente e che costituiscono invece delle variabili fondamentali per la definizione e misurazione della qualità di vita e di sviluppo. Oggi si deve tendere a tenere in considerazione il benessere reale, quello percepito, lo stato della salute, i costi ambientali e sociali dello sviluppo.
Diversi economisti si occupano oggi di felicità. Latouche cita fra i molti l’economista indiano Amarthya Sen (nota 5).
Cos’è la felicità? Possiamo, secondo il nostro punto di vista, pensarla collegata a tre sfere tra loro interconnesse: speranza di vita, impronta ecologica, sentimento di felicità.
Intanto nel mondo occidentale, forse proprio a conferma dello stato di depressione generale, si assiste ad un numero elevato di suicidi di imprenditori e, fatto spaventoso, di giovani e adolescenti.
Anche Baumann parla di personalità multiple da usare nei momenti del bisogno, a svantaggio della propria identità.
Happy Planet Index, ci dice Latouche, è l’indice che si articola dalla misurazione del grado di felicità (speranza di vita, sentimento di felicità, impronta ecologica), osservando il quale si possono prendere alcuni spunti interessanti. Prendendo solo alcuni dati pubblicati (www.happyplanetindex.org) notiamo infatti che l’ HPI, indice di felicità, è di 46,4 punti per l’Italia, mentre Cuba riporta un indice di felicità che arriva a 56,2 punti. Negli Stati Uniti l’indice di felicità arriva a soli 37,3 punti dell’hpi. Probabilmente nelle società moderne non si vive più così bene, ma ci si accontenta, non si è poi tanto felici. L’ambiente è messo in serio ed urgente pericolo, la speranza di vita è paranoia di morte ipermedicalizzazione e accanimento scientifico, la socialità è stata trasformata nell’alienazione dei consumi.
Non ci sono alternative, bisogna inventare nuovi sistemi sociali che siano più sensibili alle molte variabili dell’ecosistema, che si basino su utopia e sogno. Si, sognare un altro mondo libero dall’imperialismo delle merci e degli scambi economici.
Serge Latouche parla di un circolo virtuoso delle otto R: rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare; in opposizione ai temi del commercio attuale (svalutare, deconcettualizzare, costruire, delocalizzare, accaparrare, aumentare, monoutilizzare, buttare).
Quali le vie d’uscita?
La natura non è il nostro nemico da spiare, comprendere e sezionare, non va derubata dei propri segreti; essa è un ecosistema, è un essere vivente nella sua totalità, esseri umani compresi, facenti parte di quel tutto che è l’ambiente.
Ritorniamo brevemente sugli otto punti del circolo virtuoso delle otto R esposti dall’econimista francese. Secondo Latouche vanno rivalutati i valori di comunità, cooperazione, altruismo e abbandono della guerra contro la natura come mezzi per applicare quei cambiamenti tanto urgenti, quanto sottovalutati dai più.
La ristrutturazione è da focalizzare su temi fondamentali come la struttura sociale, le infrastrutture ciclopiche e devastanti, i modi di produzione industriale basati sulla delocalizzazione. Bisogna rilocalizzare, ovvero ritrovare un senso del locale e del reale. Vivere localmente il commercio significa produrre e vendere nello stesso territorio fisico, non dover spostare le merci per decine di migliaia di chilometri, con notevole vantaggio per i cittadini ed una fondamentale riduzione del consumo di combustibili fossili, tanto inquinanti, quanto motivo di guerre e sofferenze.
Il modello della grande distribuzione va rivisto. Sembra che in occidente il 40 per cento del cibo immesso sul mercato vada perduto: un venti per cento va in scadenza nei magazzini dei grossi centri commerciali e l’altro 20 per cento sembra essere gettato via da noi. Una piccola azione da portare come esempio delle azioni possibili per intaccare questo circolo vizioso, come ci ricorda Serge Latouche, può essere l’idea del Last Minute Market, luoghi di raccolta delle marci in scadenza dove vendere a basso costo prodotti che altrimenti andrebbero persi nella spazzatura.
Altro tema affrontato dall’idea di circolo virtuoso è il concetto di riduzione. Sembra un semplice slogan: lavorare meno per lavorare tutti e lavorare meno anche per vivere meglio. Fino agli anni 70 il lavoro serviva per vivere, oggi il lavoro serve a consumare, a rendere continuo e incessante il ciclo lavoro-consumo-lavoro. Questo ciclo fa immettere sul mercato prodotti di breve durata che passano di moda in fretta e che hanno nella loro genetica il concetto di obsolescenza programmata. Questo significa che ogni prodotto tecnologico viene costruito per rompersi dopo un tempo prestabilito di funzionamento.
Ogni giorno partono dai porti delle città più “sviluppate” carichi di computer e telefoni da gettar via, raggiungono i paesi più lontani e a spese della vita dei più poveri vengono smontati per recuperare i metalli in essi contenuti. Queste operazioni inquinano moltissimo e quasi sempre vengono effettuate senza precauzioni da squadre di bambini costretti dalla fame e ignari del pericolo per la salute e per l’ambiente (nota 6).
Fra un’utopia e la realtà ci deve però essere un programma politico. Serge Latouche ci racconta che nel 2007 ha l’occasione di scrivere un programma per un partito francese. Il programma è sintetizzato in pochi punti che riassumono il concetto di “decrescita”.
Uno dei primi passi dovrebbe essere quello di recuperare un’impronta ecologica sostenibile, che sia uguale o inferiore alla misura di un pianeta, ovvero ridurre l’impatto sulla natura di un buon 75%.
Con la globalizzazione i prodotti che mangiamo vengono prodotti lontano, devono percorrere decine di migliaia di kilometri, devono essere riempiti di conservanti e altre “diavolerie” per renderli adatti ai nostri palati ormai imbugiarditi dalla cultura “merendine e fast-food”.
La carne allevata in batteria in enormi stalle industriali è nutrita di farine animali, le verdure irrorate di veleni, le acque inquinate dagli stessi cicli industriali e tutto questo ci rende malati e deboli.
Sarebbe giusto, secondo Latouche, imporre delle ecotasse sui trasporti e fare in modo di rilocalizzare le attività produttive. Restaurare una agricoltura contadina senza prodotti chimici e a kilomentro zero ridurrebbe i problemi di salute generati da un’agricoltura chimica industriale e dal consumo di combusibili e concimi fossili.
Bisogna trasformare gli aumenti di prodotto in riduzione di tempo di lavoro e stimolare la produzione di relazioni umane, amicizie e conoscenze che occupino il tempo di non lavoro senza però distruggere l’ambiente o danneggiare il benessere.
Altro passo fondamentale è secondo il programma politico di Latouche, la riduzione degli sprechi d’energia (http://www.negawatt.org).
La pubblicità ha chiari messaggi: compra e consuma. Tutte le spese di pubblicità andrebbero penalizzate con delle apposite tasse. Ogni individuo dovrebbe poter avere tutto ciò di cui necessita, ma non dovrebbe avere rimodellato l’immaginario su falsi bisogni.
Moratoria sulla ricerca scientifica. Quale è la scienza che ci serve, quale tecnica ci aiuta e quale invece è finalizzata al consumo? Serve una democratizzazione della scienza ( L. cita Dominique Belpomme).
Riappropriarsi della moneta. Già Aristotele parlava della moneta come bene comune. Latouche è uno di quelli che pensa che le banche dovrebbero essere private del potere di gestire i soldi.
Commentando questo programma il filosofo economista racconta un sogno: “Vengo eletto, vinco le elezioni e già dopo la prima settimana, finite le pratiche per l’insediamento, comincio ad applicare i punti di cui sopra. Vengo ucciso, perchè ho una maggioranza troppo bassa”.
Per realizzare un programma così radicale, ci spiega Serge, bisognerebbe avere una maggioranza enorme, nell’ordine dell’ottanta per cento. Per avere una maggioranza così bisogna avere dei cittadini sensibili e consci di questi problemi.
Lo sforzo che ci si propone è quindi iniziare ad agire a livello culturale e dal basso lavorando su dei progetti sociali non riducibili a progetti politici o di partito. Ci sono molte diverse esperienze in questo senso (nota 7).
Esempi pratici di sensibilità si trovano in molti documenti politici. Ecuador e Bolivia per esempio dichiarano nelle rispettive costituzioni che la natura non può essere privatizzata (nota 8).
In molti paesi, in ogni paese, ci sono movimenti formati da persone, non da numeri, che testimoniano dell’urgenza, della necessità e della volontà di costruire modelli sociali alternativi a misura di felicità e possibilità di vita. L’impronta ecologica è il minimo valore dal quale partire per fermare la devastazione del pianeta, una “decrescita” dal basso che renda possibile una evoluzione necessaria e indispensabile per la vita della biosfera e il benessere delle persone.
Piccoli gruppi di persone che fanno cose assieme, un consumo critico e moderato, la difesa del territorio che abitiamo, senza però chiuderci nel nostro giardino lasciando fuori il resto.
Uscire dallo spirito del capitalismo e rivalutare i capitali sociali, le relazioni, l’umanità, l’importanza del rispetto per la biosfera.
Restaurare la democrazia si può, togliendo potere alle oligarchie finanziarie e ridistribuendo la ricchezza per il benessere di tutti.
Note
Nota 1. L’articolo divulga in maniera ormai classica i caratteri fondanti dell’attuale modello di sviluppo del mercato globale basato sull’allargamento del mercato delle merci e degli scambi economici. Un sistema che anche grazie alla cultura pubblicitaria diffusa in special modo dai grandi media di massa come televisione, radio, giornali ed oggi anche internet, con la sua capacità di potente generatore di identità, la comunicazione fredda attraverso bit sperduti nella rete, veloce, differita, qualche volta disattenta, si centra su aumento del numero di acquirenti, aumento della quantità delle merci, sull’aumento di consumi energetici. Tutto in un conteso di accaparramento delle risorse scandito dagli accordi con il Wto sugli ogm (organismi geneticamente modificati) sulla possibilità di brevettare idee, medicine, addirittura molecole, organismi o il genoma umano presenti in natura, non dentro una fabbrica come poteva essere custodita la ricetta segreta della Poca Cola. Questo non è sviluppo, questo ha un termine preciso: biopirateria.
Questa nostra storia, una storia che sta pesando non solo su di noi, ma peserà anche su tutte le generazioni a venire, si svolge in un contesto economico dove brevettare significa disporre di ingenti capitali che solo poche lobbies possono permettersi.
Si può assistere ad una destrutturazione e perdita di potere degli stati nazionali; chi detiene le risorse, intese nell’accezione ampia del termine (economiche, mediatiche, politiche, energetiche), può, senza passare per la mediazione degli stati che dovrebbero proteggere il benessere dei cittadini, direttamente interloquire con loro, convincerli con i media ed acquistarli “lowcost” nell’impellenza di una crisi. Il potere degli stati politici e dei governi è stato ceduto a gruppi internazionali non eletti basati solo sull’interesse economico. Queste e molte altre sono le concause che portano ad esiti devastanti per la biosfera e per tutti i suoi abitanti, riducendo le diversità, aumentando le disuguaglianze, indebitando l’umanità nei confronti del Wto, della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale, mentre la cultura consumista ci spinge sempre più a diventare esseri asessuati pronti al consumo.
Nota 2. Anche se oggi non è di comune sentire tutta la storia è stata percorsa da movimenti, idee e persone che si sono impegnate in maniera civile e profonda, anche dando la propria vita, per contrastare la cultura egemone dei detentori di potere di turno, cercare nuove vie di evoluzione, tentare nuovi modi di convivenza e inclusione, migliorare le condizioni di vita e ridurre i mali della società aumentando il grado di civiltà.
Pensiamo anche alle critiche fatte alla visione illuminista delle scienze, alle condizioni di lavoro nelle fabbriche, gli studi sui rapporti di potere che si instaurano nelle istituzioni, la constatazione, nelle parole di diversi autori, del fallimento del modello capitalista che si è rivelato lontano dagli interessi della maggior parte dell’umanità e dell’ambiente nel quale viviamo.
Nota 3. Inoltre siamo in una società spersonalizzata dove ognuno non riesce ad essere se stesso, ma indossa varie identità a seconda della piazza che frequenta o il negozio nel quale entra, una società dell’insicurezza, dei disastri ambientali, delle strade allagate, delle crisi che si susseguono almeno dall’800, ci troviamo in una realtà liquida, distaccata e digitale. La rete, con tutti i suoi “aggeggi” di connessione da qualsiasi posto, a violare l’intimità e allentare i legami dei rapporti umani. Serie di dati, uno zero, quasi fosse un mondo giocato totalmente sul vivo o morto, buono cattivo, rosso nero, senza contare le varie sfumature e i colori del mondo vero, della biosfera con tutti i suoi abitanti, tutti diversi, infinitamente diversi, non riducibili a schemi organizzati e a concezioni economiche della libertà e dei diritti. Per una lettura dell’articolo si rimanda alla pagina (link).
Nota 4. Ivan Illich (http://ita.anarcopedia.org/Ivan_Illich), noto teologo e filosofo, si occupa anche degli effetti dello sviluppo tecnologico moderno: sistema scolastico, ipermedicalizzazione, trasporti, problemi ecologici e di salute. Fra le sue definizioni: “Quando un’attività umana esplicata mediante strumenti supera una certa soglia definita dalla sua scala specifica, dapprima si rivolge contro il proprio scopo, poi minaccia di distruggere l’intero corpo sociale”. E’ importante, secondo Illich, determinare queste scale naturali e individuare le soglie che delimitano il campo di sopravvivenza umana.
Egli condivide una linea di pensiero che si incentra su una “semplicità volontaria”, mira ad una decrescita sostenibile, propone un modello di società conviviale dove né stato, né privati possiedano alcun monopolio (istruzione, medicina, trasporti, ecc.), consentendo a ciascuno di esercitare la propria creatività senza limitare la libertà altrui.
Nota 5. Amarthya Kumar Sen, economista indiano, già premio Nobel per l’economia 1998, parte da un’analisi critica dell’economia del benessere. Sen oppone ai parametri di benessere sociale soggettivo, un pensiero che rivolge attenzione alla tutela dei diritti umani oggettivi, egli supera i tradizionali parametri di sviluppo opponendo ai parametri di crescita e quantità, quelli di uno sviluppo incentrato su parametri di felicità e qualità.
Nota 6. Nel 2008 ho potuto vedere con i miei occhi, al largo delle coste nord della capitale della Mauritania, una mega-discarica internazionale di navi dismesse. Uno dei tanti posti dove i detentori di tecnologia, noi popoli civili, si va ad abbandonare i nostri relitti carichi di morte col benestare di qualche despota locale, servo e padrone tutto indaffarato a seguire il guadagno ad ogni costo.
Nota 7. “Se vuoi cambiare il mondo, inizia a cambiare te stesso” credo volesse dire un omino con gli occhiali vestito di bianco (Gandhi). Anche noi facciamo parte del mondo, anche noi ne siamo una piccola parte, una goccia nel mare, ma il mare stesso è fatto di gocce…
Nota 8. Costituzione della Bolivia art. 13.
Marco Ambrosini